La presenza di vulcanelli era ben nota agli anziani materani che spesso apostrofavano la Rifeccia come “puttana”. Da alcuni documenti sembra comunque che questo aggettivo fosse usato per la presenza in tempi lontani di una nobildonna di Laurenzana residente nella contrada e pare che avesse facili costumi. Quindi dalla pronuncia dialettale del paese del potentino si è coniato il nome alla contrada.
Meno volgarmente una leggenda materana narra che a causa di un terremoto la castellana di Timmari (sembra anche qui che sia esistito un castello) enfaticamente chiamata “regina”, abbandonò il suo maniero* su una carrozza portando con sé ori e gioielli. La fuga non ebbe esito felice in quanto la carrozza fu inghiottita dalla terra insieme ai cavalli che la tiravano. Non è chiaro se tale evento sia associato al terremoto che funestò Timmari il 10 Novembre 1634 ma la presenza di vulcanelli di fango nella zona è conosciuta da molti secoli.
I feudatari della zona, la famiglia Gattini, nel loro titolo nobiliare risalente al X secolo si citava il Castello di Timaris (Timmari)
I vulcanelli della zona sono stati studiati per la prima volta il 1948 nella Rifeccia dal professore Salvatore Boenzi. In quegli anni l’ENI (Ente Nazionali Idrocarburi) aveva cominciato a esplorare la possibilità di sfruttare i giacimenti di gas delle valli lucane e in quell’anno ci furono manifestazioni di vulcanesimo secondario di tutto rispetto. Da un vulcanello di fango nei pressi di Montalbano Jonico fuoriuscirono quantità importanti di fango e lo stesso succedeva nella Rifeccia. In entrambi i casi la quantità di fango emessa era tale che molto materiale effusivo si riversò nell’alveo dei rispettivi fiumi Agri e Bradano.
Fu così che l’allora giovane professore di geomorfologia dell’Università di Bari, Salvatore Boenzi, si interessò alla presenza dei vulcanelli nell’area.
Nella Rifeccia ne furono scoperti 5 anche se due nelle vicinanze e non nella contrada stessa. Oggigiorno non si trovano tracce della “salsa di Santa Chiara” nei pressi dell'omonima masseria lungo il torrente Gravina di Picciano, ma a tutt’oggi la presenza degli altri 4 è testimoniata da una rinnovata attività come nella primavera del 2017.
Un fenomeno molto particolare e suggestivo sotto certi aspetti, appare più frequente nelle zone soggette a terremoti. Si parla di "vulcani di fango", un fenomeno poco conosciuto.
I vulcani di fango sono strutture geologiche che sono generate a seguito dello scarico sulla superficie terrestre o sul fondo marino, di materiali argillosi sotto forma di fluidi e fango, mescolati con una miscela di acqua e in alcuni casi di gas. Generalmente sono presenti in contesti tettonici compressivi o in contesti geologici dove le principali figure tettoniche in gioco tendono a scontrarsi tra loro.
Uno dei protagonisti principali della formazione dei vulcani di fango è rappresentato in profondità dalla presenza di fitte sequenze di sedimenti fini e mal consolidati, fortemente legati dalle condizioni geologiche-strutturali e idrauliche del sottosuolo. Si parla cioè di litologie con dimensioni granulari sabbia-argilla che, nel corso dell'evoluzione geologica, non hanno subito forti pressioni litostatiche derivanti dai sedimenti accumulati sopra di esse. Per vari fattori, è possibile che ci sia una sedimentazione rapida e abbondante per un breve periodo, da un punto di vista geologico. Questo crea una sequenza sedimentaria leggermente compatta con la presenza di fluidi tra gli interstizi dei diversi granuli. A causa della mancanza di diagnosi (compattazione) dei sedimenti, la parte liquida non verrebbe espulsa e ciò favorirebbe una minore densità di questo insieme di sedimenti, rispetto ai sedimenti soprasottostanti, in modo da consentire le condizioni ideali per una salita.
Ora dobbiamo capire quali possono essere i principali fattori che permetterebbero a questi fluidi di emergere. Affinché il meccanismo si inneschi, è importante che vi sia un improvviso aumento della pressione interstiziale tra i granuli che compongono il sedimento. In natura esistono vari meccanismi in grado di produrre un aumento delle pressioni interstiziali all'interno dei sedimenti, in modo da generare la formazione di un vulcano di fango.
Se ne elencano alcuni:
a) Forze tettoniche, in particolare durante le fasi di compressione sismica
b) Presenza di idrocarburi
e) Disidratazione del componente argilloso
a) Come è avvenuto negli ultimi tempi tra le Marche e l'Umbria o come è avvenuto nel 2012 con il terremoto in Emilia Romagna, la causa scatenante potrebbe essere un forte shock sismico. Lo stress sismico può causare il trasferimento di pressione dai granuli dei sedimenti all'acqua interstiziale (presente tra un granulo e l'altro). Quando tale deposito è confinato tra due strati impermeabili, la pressione dell'acqua aumenta, ad un punto critico, oltre il quale annulla la pressione tra i granuli e l'insieme del deposito (sedimento più acqua) comportandosi come un fluido. Per evacuare questa sovrappressione, il deposito liquefatto cerca una via d'uscita spingendo verso zone di pressione più debole, o verso l'alto, attraverso fratture e discontinuità presenti nella roccia. In superficie, quindi, c'è il fenomeno di liquefazione o fluidizzazione che si verifica attraverso i vulcani di fango.
b) Gli idrocarburi gassosi come il metano o l'anidride carbonica, essendo dotati di un peso molecolare molto basso, tendono a raggiungere la superficie più rapidamente. Quando ciò accade, i sedimenti non diagnosticati sono supportati e tendono a risalire in superficie, dando origine a flussi reali simili a quelli prodotti dalle lava vulcaniche. Inoltre, il metano, se presente, produce una dilatazione termica durante la risalita, con conseguente diminuzione della sua densità e aumento della pressione dei fluidi nei sedimenti. In questo caso, le emissioni di metano e di fanghi che ne risultano saranno così forti che possono verificarsi vere e proprie esplosioni di gas a temperature anche elevate, molto pericolose per chi si trova nelle vicinanze.
c) Le argille sono costituite da minerali che presentano chimicamente strutture cristalline complesse, all'interno delle quali si trovano spesso strati costituiti da molecole d'acqua (H2O). Con una maggiore presenza di acqua, i minerali argillosi tendono ad espandere le loro catene e ad occupare più spazio. Quando si verifica un processo di compressione sui sedimenti argillosi, dovuto ad esempio ad un aumento del peso specifico delle rocce sovrastanti, la parte liquida viene espulsa dalle strutture e risalita in superficie attraverso canali preferenziali presenti nella roccia (fratture, cavità , discontinuità in generale). In questo modo, il fenomeno della disidratazione dei minerali argillosi si ottiene con una compattazione significativa dei sedimenti.
I vulcani di fango sono presenti anche in Italia nell'Appennino, con manifestazioni più spettacolari in particolare in Emilia Romagna e Sicilia. In Sicilia si trovano i "Macalube" di Aragona e le "Salinelle" di Paternò, mentre le "Salse" di Nirano sono famose in Emilia Romagna. Tutti i fenomeni si verificano in un contesto geologico-strutturale compressivo, tuttavia legato alla pressione esercitata dagli ammassi di gas compattati all'interno dei sedimenti argillosi che, soprattutto in Sicilia, generano eruzioni di tipo "esplosivo". Altri vulcani di fango sono stati scoperti nell'area periadriatica tra le Marche, l'Abruzzo e l'Aquila durante il terremoto del 2009 a causa delle scosse sismiche che hanno portato alla compattazione del giacimento.
In Basilicata ci sono vulcanelli, più o meno attivi, nel comune di Cancellara (PZ), Ferrandina (MT) e nei pressi della collina Timmari vicino a Matera. Sono tutti edifici di fango presenti nel contesto geologico della fossa Bradanica al suo bordo più orientale verso le Murge. La loro origine è senza dubbio legata ad un tipo di attività tettonica animata nell'antichità e in epoca meno recente.