All’interno del Parco Nazionale dell’Alta Murgia sorge una insospettata perla del territorio pugliese: Gravina in Puglia. Il nome Gravina deriva dalle spaccature del suolo, simili a canyon, le gravine, sulle quali essa sorge. Tutt’ora sono visibili i fenomeni di formazione su un banco calcareo: parte della città si estende sulle sponde di un profondo crepaccio.
L’agro di Gravina in Puglia, presenta alcuni insediamenti sporadici del Neolitico e dell'Età del Bronzo ma è a ridosso della città di Gravina, sul "Colle di Botromagno", con oltre 400 ettari esiste un insediamento che oggi costituisce un vero e proprio "Parco archeologico".
L’area archeologica sulla sommità della collina di Botromagno, era già nota agli inizi del 900 per i resti di una cinta muraria a doppia cortina che racchiudeva i resti di un antico abitato. Nel corso degli anni 30, i blocchi delle mura insieme agli elementi architettonici delle abitazioni e delle tombe, furono riutilizzati per la realizzazione di muri a secco e costruzioni rurali. I saccheggi delle sepolture sempre più frequenti a partire dagli ‘50 indussero l’allora soprintendente a chiedere l’intervento della Scuola Britannica per avviare una campagna di studi mirata a scoraggiare l’attività dei clandestini, attraverso l’individuazione di aree di particolare interesse da tenere sotto controllo. In seguito si progettò un parco archeologico che inglobasse anche la gravina e l’abitato rupestre
A partire dall'Età del Ferro, un esteso abitato occupa il colle di Botromagno ed il costone della Gravina (zona Santo Stefano). Questo periodo è testimoniato da capanne e frammenti di ceramica dipinti nello stile protogeometrico iapigio comune alle aree della Puglia e della Basilicata. Alla fine dell'VIII sec. a.C. si datano le prime importazioni di ceramica geometrica greca che diventano più frequenti a partire dalla metà del VII sec. a.C. fino ad essere soppiantate, nel corso del VI sec. a.C., da imitazioni di officine locali e magnogreche. Dalla fine del VII e durante tutto il VI sec. a.C. alle capanne si sostituiscono abitazioni a pianta quadrata o rettangolare coperte da tegole e talvolta ornate con terrecotte architettoniche. Sotto l'influenza dei prodotti greci si trasformano le decorazioni sulle ceramiche di fabbricazione locale: questa fase culturale é detta Peuceta dal nome che i Greci diedero agli antichi abitanti della zona, appunto, Peuceti. Gli scavi hanno messo in luce, oltre ad abitazioni, numerose sepolture che denotano, dalla qualità degli oggetti del corredo, una ricchezza ed un benessere diffuso
Nel V sec. a.C. si affermano le importazioni di ceramica attica a figure rosse, successivamente soppiantate da produzioni magno greca ricercate per la raffinatezza delle decorazioni. Tra i pezzi più significativi va segnalato un kantharos singolare nella forma, estranea al repertorio attico, decorato con una scena ispirata dall'Iliade ed illustrata da iscrizioni. Col IV sec. a.C. la città si estende fino ad occupare l'area dell'attuale abitato, come testimoniano i rinvenimenti in via San Vito Vecchio e in altre zone della città. Le abitazioni, quasi tutte sostituite da quelle del II sec. a.C., hanno una pianta molto articolata e, spesso, si affacciano su strade lastricate.
Alle sepolture a fossa e a semicamera si affiancano tombe a camera precedute, a volte, da un dromos. Nella ceramica si afferma il gusto per le decorazioni sovradipinte e per le forme mutuate dal repertorio del vasellame metallico: questa nuova fase, detta Apula dal nome usato dagli scrittori romani, é la più ricca di testimonianze provenienti dai corredi tombali. A questo periodo si datano la poderosa cinta muraria che circonda il parco archeologico e le prime emissioni monetali con leggenda (Sidinon dall'antico nome di Gravina) coniate da una zecca locale.
Gli eventi bellici della fine del IV secolo e inizi del III saranno catastrofici: durante la seconda guerra sannitica (326-304 a.C.), la città era presidiata da truppe sannitiche e fu cinta d’assedio dai Romani (306 a.C). Dopo averla espugnata i Romani renderanno schiavi 5000 abitanti della città di Sydyon.. Come se non bastasse, pochi anni dopo, la città fu nuovamente assediata ed espugnata questa volta dagli Epiroti di Pirro (280-275 a.C.). Le fortune della città peuceta non cambiarono con le guerre annibaliche e con la sconfitta del generale cartaginese, Sydyon insieme a gran parte dei centri che si erano schierati per Annibale, furono punite dai Romani con confische e espropriazioni e il declino fu inesorabile. Durante il II ed il I sec. a. C. in tutto il territorio sorgono diverse "aziende" agricole a pianta articolata e, talvolta, con ambienti intonacati e dipinti come in contrada Vagnari.
E' probabile che in questa fase sopravviva solo la stazione di Silvium (nome romano di Sydyon), lungo la via Appia, ma la localizzazione della stazione è ancora incerta. Lungo il torrente Gravina è possibile visitare anche l'area "Padre Eterno" dove sono presenti numerose sepolture a fossa databili dalla fine del VII alla fine del IV a. C. , alcuni ambienti ed un'area occupata da fornaci per la produzione di vasi e laterizi.
L'area archeologica di maggior interesse resta comunque Botromagno. E' consigliabile l'accesso dalla strada di fronte al Parco Bruno, poiché segue, in parte, il percorso della cinta muraria della fine del IV sec. a.C. Sul colle sono visibili tombe a semicamera intonacate e dipinte databili al V sec. a.C., a camera scavata nella roccia con dromos d'accesso databili al IV e al III sec. a.C. e resti di abitazioni tra cui si segnala una grossa villa del II I sec. a.C. con un piccolo ambiente rivestito d'intonaco dipinto.
La collina di Botromagno non è il solo punto di interesse che Gravina può proporre. Le sue caratteristiche la rende molto simile alla vicina Matera, entrambe sorgono lungo canyon carsici della Murgia - le gravine - e la presenza di una roccia altamente lavorabile e facilmente estraibile ha permesso lo sviluppo fin dall’alto medioevo di entrambi i centri abitati. Simili sviluppi urbanistici sono molto diffusi in tutto in tutto il territorio pugliese di cui Matera faceva parte fino al XVII secolo.
A ridosso del burrone la Gravina, nell’omonima città di Puglia, è presente una incredibile meraviglia architettonica, la Concattedrale di Santa Maria Assunta. Oltre ad essere oggi il principale luogo di culto cattolico di Gravina in Puglia, questa costruzione appartenente all’età normanna è un vero e proprio capolavoro, tanto da essere stata consacrata nel 1993 da papa Giovanni Paolo II come basilica minore. Edificata, come già detto dai Normanni intorno all’anno Mille, la Concattedrale di Santa Maria Assunta ha visto lungo la sua storia (quasi) millenaria numerose modifiche e aggiunte che l’hanno oggi resa una tappa obbligatoria per tutti i fedeli e non che si apprestano a visitare la città.
Questi due quartieri sono il cuore storico della città dove sono concentrate molte delle attrazioni di Gravina. Piaggio e Fondovico sono di per sé interessanti anche semplicemente per una passeggiata tra le vecchie case da cui si affacciano anziane signore che stendono il bucato o da cui provengono i profumi del pranzo.
La chiesa di San Basilio si trova nel quartiere Piaggio è scavata nella pietra, ha otto colonne e un altare su cui è posizionata un’icona di Maria: la sua presenza nel paese passa quasi inosservata se non fosse per il vecchio campanile in tufo che svetta.
La chiesa fu per lungo tempo un luogo di culto per gli abitanti della città per poi rimanere chiusa, inutilizzata e sconsacrata per molti anni
Si tratta di una chiesa interamente scavata nella roccia: le navate, le colonne e gli archi sono intagliati nel tufo e rimangono ancora visibili alcuni affreschi nella zona dell’altare. Nella stanza attigua ci sono cumuli di scheletri ed ossa dall’aspetto piuttosto inquietante: secondo la leggenda sono i martiri dell’attacco saraceno avvenuto intorno all’anno 1000. Da qui si può volgere lo sguardo sulla gravina che regala panorami notevoli sulla gravina e sul complesso rupestre delle sette camere.
Questo complesso di cunicoli scavati nel tufo si trova sul versante ovest di Gravina e si può ammirare con facilità dal rione Fondovico. Nient’altro che aperture nella roccia simili a scure finestre fanno presagire che da quel lato del canyon ci sia ciò che rimane di antichi insediamenti risalenti alla fine del Medioevo.
La leggenda racconta che in questa zona fu trovata un affresco di una Madonna con bambino con una stella dipinta in testa, per questo fu eretta questa chiesa che divenne un importante meta di pellegrinaggio da parte di malati e donne che non riuscivano a rimanere incinte. Scavata anch’essa nel tufo, probabilmente in passato era ricoperta di affreschi che purtroppo oggi sono scomparsi.
Particolarmente interessante è la raccolta di oggetti provenienti dagli scavi di Botromagno in esposizione permanente nella mostra "Aristocrazia e mito" presso il Museo Fondazione Ettore Pomarici-Santomasi di Gravina in Puglia. La Fondazione “Ettore Pomarici Santomasi”, sita nel cuore della città antica, fu eretta in Ente Morale nel 1920, appena tre anni dopo la morte del Barone Pomarici Santomasi che fece dono alla sua città del suo Palazzo e dei Beni in esso contenuti perché divenisse Museo e Biblioteca. Di assoluto interesse artistico, la Cripta di San Vito Vecchio, grande esempio di arte rupestre medievale, qui ricostruita nel 1968, dopo lo stacco da una chiesa rupestre locale.
II Bosco "Difesa Grande", con i suoi circa 2000 ettari è uno dei più importanti complessi boscati dell'intera Puglia. Situato a 6 km dal centro abitato di Gravina, nel medio bacino idrografico del fiume Bradano. Si estende su un terreno collinare compreso tra il torrente Gravina ad Est ed il torrente Basentello ad Ovest, entrambi affluenti del Bradano. La struttura geologica è costituita essenzialmente da una coltre spessa di sabbia e conglomerati pleistocenici, formazioni risalenti all'ultimo periodo dell'Era Quaternaria. Nella coltre detritica si possono distinguere le seguenti formazioni: Conglomerati d'Irsina e Sabbie dello Staturo, supportanti le Sabbie di Monte Marano e le Argille di Gravina. Il bosco comunale all'epoca della dominanza sveva era denominato Selva o Foresta.
Nel corso del XVII secolo, l'Università (termine con il quale si indicava il Comune) acquistò dal Regio Demanio la superficie boscata in questione che aveva già preso il nome di "Difesa Grande", diventando bene patrimoniale del Comune. Il termine "Difesa" significava originariamente proibizione e, in senso estensivo, poteva anche indicare una zona sottoposta a particolari divieti e quindi ad un particolare regime di utilizzazione. Nel suo ambito erano concessi solo gli usi civici di legnatico e ghiandatico. Difesa o come il suo sinonimo bandita o luogo bandito, stava ad indicare "un luogo che non poteva essere più diviso, ne goduto in particolare dai comunardi, ma doveva restare di proprietà dello Stato; e quindi, se non era boscato, necessariamente doveva essere rimboschito".
In conclusione nessuno poteva dissodarlo e neppure usurparlo. Il bosco era vissuto da sempre come una fonte di approvvigionamento di legname per la collettività gravinese. Consultando gli atti preliminari ed apprezzo del Comune di Gravina dell'anno 1754, per la formazione del catasto, si attestava che la suddetta Università di Gravina possedeva "li seguenti Beni, Rendite e Gabelle e possiede li seguenti Pesi Universali": «Un Bosco di arbori di cerse detto la Difesa Grande di capacità di carra ottantaquattro, in cui li poveri vi hanno il ius di legname a legna in collo seu alla collata solamente ...ch'è di ducati sei a soma, confinante il detto bosco seu Difesa Grande colli beni del Venerabile Monastero di S. Maria delle Domenicane, chiamata la Rifezza di Pied'organo..."» (Biblioteca "Ettore Pomarici Santomasi", Gravina).
Strettamente legata al bosco era la pastorizia. Anche qui sono numerosi gli scritti che vanno a testimoniare i tentativi di conciliare le esigenze del bosco con quelle dei pastori e il carico di bestiame presente in gran numero nel bosco. Dagli Archivi è emerso uno spaccato di vita gravinese che ha inizio nei primi anni del ‘900 e termina sino alle soglie del secondo millennio. Anni difficili, segnati da miseria diffusa che colpiva la maggioranza della popolazione. Da qui l'importanza del bosco, come fonte di approvvigionamento e di pastorizia, termometro sociale ed economico.
II bosco rappresenta una residua testimonianza della rigogliosa foresta mesofita che ricopriva gran parte di queste contrade. La parte di quercete è formata, principalmente, da tre specie di caducifoglie: roverella (Quercus pubescens s. l.), cerro (Quercus cerris L.) e farnetto (Quercus frainetto Ten.). Dei 2000 ettari circa, quasi 350 ettari sono costituiti da un rimboschimento a conifere con pino (Pinus halepensis Mill) predominante e cipressi (Cupressus sempervirens L, e Cupressus arizonica Grecene).
Nel piano arboreo sono presenti altre latifoglie quali l'orniello (Fraxinus ornus L.), carpinella (Carpinus orientalis Mill.), acero minore e acero campestre (Acer monspessulanum L. e Acercampestre L.), le specie arbustive o arboree che più frequentemente si rinvengono sono, a seconda delle zone, il sorbo (Sorbus domestica L.), corniolo (Corpus mas L.) biancospino (Crataegus monogyna Jacq.), ligustro (Ligustrum vulgare L.), perazzo (Pyrus amygdaliformis L.), fillirea (Phillyrea angustifolia L. e P. latifoglia L.), olmo (Ulmus minor Mili), ginepro (Juniperus oxicedrus L.), ginestra (Spartium junceum L.). Il sottobosco è costituito in prevalenza da lentisco (Pistacia lentiscus L.), pungitopo (Ruscus aculeatus L), smilace (Smilax aspera L.) e cisto (Cistus salvifolius L. e Cistus incanus L.). Il bosco è stato da sempre governato a fustaia con trattamento a scelta irrazionale e a ceduo matricinato con turni da 15 anni al fine di ricavare legna da ardere, frasche e ghianda per gli animali da allevamento.
Per quanto non ci siano affioramenti calcarei, tipici delle Murgia, il bosco fa parte di questa regione geografica. La Murgia è una regione fortemente e da lungo tempo umanizzata; l'uomo ha quindi avuto un ruolo rilevante nel determinare l'assetto faunistico sia attraverso i mutamenti operati (bonifiche, disboscamenti) sia come diretto traslocatore di specie. A questi fattori che nel tempo avevano dato un volto proprio e caratteristico al nostro patrimonio faunistico, si sono aggiunti in misura sempre maggiore elementi a più accentuato dinamismo che hanno negativamente influito su di esso. Come risultato stiamo andando verso un generalizzato e veloce impoverimento in specie dei vari complessi faunistici che si possono individuare nella nostra regione. Per alcuni ambienti, come quello del bosco di "Difesa Grande" la perdita di naturalità non è stata poi tanto drastica, con una forte conservazione della diversità in specie, conseguente a condizioni ambientali, naturalmente create, idonee ad ospitare una moltitudine di specie e varietà di animali. Gli incontri non sono rari. Se ci si addentra lungo i sentieri è possibile imbattersi in innocui rettili quali il ramarro (Lacerta viridis), più grande sauro europeo, il colubro liscio (Coronella austriaca), o la Tartaruga di hermann ( Testudo hermanni), la più piccola delle tre specie che popolano il Sud dell'Europa; imbattersi in una lepre o una volpe in cerca di cibo nella fitta vegetazione boschiva non è evento poi tanto raro. Il complesso faunistico è molto ricco grazie ad una massiccia frequenza ornitica di specie del bosco, la maggior parte delle quali nidificanti, inserite nelle normative e Liste Rosse di salvaguardia, citiamo in tal senso: il cuculo, il barbagianni, il nibbio reale e il nibbio bruno, la poiana, l'assiolo, l'upupa, il gufo comune, l'allocco, il merlo, la capinera, lo sparviere, la ghiandaia, la calandra, l'averla capirossa.
Tra i mammiferi ricordiamo il cinghiale, la donnola, il tasso, la puzzola, l'istrice, la faina, ed il sempre più raro gatto selvatico. Oltre i rettili già riportati sono diffusi: il biacco (Coluber viridiflavus), il cervone (Elaphe quatuorlineata), il colubro di Esculapio (Elaphe longissima), la vipera aspide (Vipera aspis), la natrice dal collare (Natrix natrix), la luscengola, il geco e la tarantola dei muri. In un territorio caratterizzato da pochi ristagni di acque meteoriche, risulta piuttosto ricca la presenza di specie di anfibi, quali il tritone italico e il tritone crestato, il rospo comune e smeraldino, la rana verde e la rana agile, la raganella e l'ululone dal ventre giallo, tutte specie di rilevante interesse conservazionistico, in quanto minacciate d'estinzione a livello nazionale ed internazionale.