Guardia Perticara

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Un grappolo di case su un rilievo, nella remota Lucania fatta di pietra grigia, di verde e di argilla, di devozioni intense e di silenzio che si protende tra le case attraversando le stagioni. Sui gioielli in ambra dei corredi tombali dei primi abitanti sono passate le orde saracene e diversi terremoti, ma tra distruzioni e abbandoni il paese è riuscito a mantenere la sua identità, che sotto cieli mutevoli è sempre la stessa: case arroccate, gradinate e scale che s’inerpicano fino al castello, balconi in ferro battuto, archi, portali, ballatoi, fontane. è terra vera, questa, con i suoi sentieri di campagna e i percorsi tra le cicale, con i profumi dei formaggi e delle carni, del rafano e della liquirizia. è il piacere della tavola, quando lentamente, sotto il paralume, ci si trova insieme e si scacciano le tenebre.
Man mano che ci si addentra all’interno del borgo di Guardia Perticara matura sempre più la convinzione di non voler andar via. Per continuare ad ammirare le casette in pietra, i palazzi antichi, le scale che si inerpicano fino al castello e da cui si domina l’intera valle del Sauro. La strada più caratteristica è quella un tempo denominata via dei Carbonari, oggi Armando Diaz, dove si scorgono architetture finemente decorate da pietre lavorate dai maestri artigiani e le volte in mattoni rossi.
Di forte impatto sono i portali di via Diaz, lo stemma di Palazzo Montano, il rosone di Casa Marra, il bassorilievo di San Nicola sul portale della chiesa madre di San Nicolò Magno, e poi l’arco Vico II in piazza Europa, e la mensola in pietra di Casa Sassone, ex castello.

Dalla cima del colle su cui Guardia Perticara sorge si resta ammaliati dalla vista di un paesaggio sconfinato e splendido sulla valle del torrente Sauro, un grosso affluente del fiume Agri, il quale scorre tranquillo in un larghissimo greto ciottoloso. Proprio nella splendida Val D’Agri, verdi colline coltivate a vigneti, fitti boschi, selvaggi calanchi e strade che si snodano tortuose caratterizzano il contesto in cui si trova l’antico borgo distrutto dai Saraceni. E tortuosa è anche la strada che, tra querce e uliveti, scende fino a Guardia, che ricade in un territorio dall’immenso patrimonio forestale costituito per lo più da fustaie di latifoglie con specie quercine, faggete, castagneti e boschi misti.

Un luogo che risveglia i sensi e cattura lo sguardo. Guardia Perticara è uno dei “Borghi più belli d’Italia” riconosciuti in Basilicata, per i suoi caratteristici vicoli, le stradine strette e ripide e le case in pietra arroccate le une sulle altre. È denominato infatti il “paese delle case di pietra”, che conferiscono al borgo un fascino tale da proiettarlo fuori da ogni tempo, e forse proprio per questo il grande regista Francesco Rosi lo ha scelto tra le location in cui ambientare alcune scene del suo “Cristo si è fermato ad Eboli” tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Levi.

Il toponimo deriva da castrum Perticari: la pertica nei latifondi longobardi è la parte di territorio assegnata alle famiglie dei coloni.
Le testimonianze archeologiche rilevano dalla prima età del ferro (IX-VIII sec. a.C.) la presenza di un abitato nel territorio di Guardia Perticara, peraltro documentato in forme sparse già nell’età del bronzo (XIV sec. a.C.). I reperti dei corredi tombali rinvenuti nella necropoli in località San Vito arrivano fino al V sec. a.C. e costituiscono una delle fonti più importanti per la conoscenza degli Enotri, gli antichi abitanti di questa regione.
I resti di grotte basiliane del X sec. d.C., rivelano l’influenza greco-ortodossa. Guardia ospita due asceti, Luca di Armento, fondatore del cenobio di Carbone, e Vitale da Castronuovo, ma viene distrutta dai Saraceni e rimane a lungo disabitata.
Nel 1237, durante il regno di Federico II di Svevia il castrum Perticari figura tra i possedimenti della diocesi di Tricarico mentre nel 1306, compare per la prima volta in un documento angioino il nome di Guardia Perticara.
Si può dire pertanto che quella di Guardia Perticara è una storia antica che comincia con gli Enotri e si inscrive nella dura faccia della pietra.